Non sempre siamo noi a pensare ed essere liberi.
E la libertà non significa fare ciò che ci è comodo, ma essere liberi nella mente e nel cuore.
Spesso, senza rendercene conto, sono le “voci” della famiglia, della società e della religione a pensare al posto nostro.
Dobbiamo accettare che tutti siamo “condizionati” e che questo ci fa perdere la possibilità di compiere scelte autentiche.

Essere se stessi non è un punto di arrivo scontato, ma un cammino. Spesso la nostra parte più razionale va in direzione opposta alla parte più “sensibile”, che rimane nascosta, come in ombra.
La mente, se non osservata, diventa una prigione. Per imparare a liberarla dobbiamo cominciare a guardarci dentro senza giudizio, ad ascoltare ciò che amiamo e ciò che rifiutiamo, a percepire l’altro attraverso ciò che risuona in noi, quella sensazione di pancia che parla più delle parole.
Se ci lasciamo guidare dai pregiudizi, inciampiamo nelle nostre stesse catene mentali.
Per questo è necessario mettere in dubbio l’immagine del mondo che ci è stata consegnata e smettere di credere ciecamente, iniziando invece a sperimentare.
Sperimentare ciò che non corrisponde al nostro “personaggio”, ma che vibra con la nostra essenza.
Conservando un criterio di osservazione, ma senza giudizio, scopriamo che liberarsi dalle catene non è ribellione: è ritrovare il contatto con ciò che siamo dentro.
Dobbiamo avere il coraggio di mettere in dubbio tutto ciò che ci è stato detto e, quando ci troviamo a parlare di fronte a un altro, diventa importante non tanto ciò che dice, ma la ragione per cui lo sta dicendo.
Liberarsi dalle catene significa aprire gli occhi oltre i confini che ci hanno imposto e imparare a vedere il mondo non più con lo sguardo del condizionamento, ma con quello dell’anima. È allora che possiamo sentire di essere fatti della stessa sostanza dei sogni e riconoscere la verità che ci abita dentro.


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